14/07/11

Pedicabo ego vos et irrumabo

Visto che c'è gente residente a Trezzano sul Naviglio che sostiene che latino e maialate siano due cose ben distinte, io ci terrei a fargli leggere la seguente poesia. Sembra scritta da un rivaiolo qualunque, e invece l'autore è quel simpatico porcellone di Catullo (vedere per credere), che d'altronde si chiamava Gaio ed è morto a trent'anni per cui anche lui avrà avuto le sue esigenze:

Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex uersiculis meis putastis,
quod sunt molliculi, parum pudicum.
nam castum esse decet pium poetam
ipsum, uersiculos nihil necesse est;
qui tum denique habent salem ac leporem,
si sunt molliculi ac parum pudici,
et quod pruriat incitare possunt,
non dico pueris, sed his pilosis
qui duros nequeunt mouere lumbos.
uos, quod milia multa basiorum
legistis, male me marem putatis?
pedicabo ego vos et irrumabo

che più o meno sarebbe:

Io ve lo ficcherò in bocca e nell'ano
Aurelio bocchinaro e Furio culattone,
a voi, che per certi miei versi, è vero,
un po' sconci, mi credete un degenerato.
Un poeta all'altezza dev'essere casto
lui stesso, non certo i suoi versi,
che di fatto hanno arguzia e sapore
proprio in quanto un po' spinti e senza pudore
e in grado d'eccitare quel certo prurito,
non dico nei ragazzi, bensì nei caproni
ormai incapaci nel darci dentro coi fianchi.
Voi, perché leggete di tutti quei baci a milioni,
voi non pensate che io sia maschio a dovere?
Io ve lo ficcherò in bocca e nell'ano.



Allora, Italorum, la facciamo una versioncina su questa?

PS.
Se qualcuno si stesse chiedendo come sono arrivato alla pagina del sesso orale su Wikipedia, sappia che stavo cercando su Goooogle "atti riflessi istintivi esempio" per Diritto Penale e come quarto risultato è venuto fuori quello. Se qualcuno si stesse chiedendo perché c'ho anche cliccato sopra, beh, fatevi un po' i cazzi vostri.

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